A sud dell’oasi di Berriane, inizia la regione del M’Zab, un territorio all’apparenza arido ed inospitale, ma che racchiude uno dei gruppi etnici più interessanti dell’Algeria e forse del Sahara, i mozabiti. Sono non soltanto una stirpe di pura razza berbera, ma costituiscono anche una stretta comunità religiosa, seguace della setta politico-religiosa, fortemente impregnata di puritanesimo degli ibaditi, che sono gli unici discendenti rimasti della setta musulmana eretica dei Kharigiti (gli usciti), che rifiutarono l’autorità di Alì genero di Maometto colpevole secondo i mozabiti, di essere stato abbastanza mite nel non punire con il sangue un assassinio. E in questi luoghi che si stabilirono i rifugiati ibaditi, certi che nessuno sarebbe venuto a sloggiarli da una terre così ingrata. Strano mondo quello dei mozabiti, il loro rigoroso settarismo e le credenze religiose, hanno contribuito al mantenimento della purezza razziale ed alla conservazione di abitudini e usanze immutate nei secoli. Con le loro mani hanno scavato pozzi (spesso impiegando un vita intera), hanno creato dal nulla rigogliosi palmeti e, una dopo l’altra, edificato le cinque città del M’Zab. La pentapoli mozabita, della quale fanno parte Ghardaia che è la capitale, Beni Isguen la città santa, Melika la regina, Bou Noura la luminosa e El Atteuf la decana, è famosa per l’armoniosa combinazione di semplicità delle forme e degli stili, dei materiali e delle tecniche usati all’insegna di un rigore insito nello stile di vita dei mozabiti, che invitano alla dolcezza di vivere.
Per gli urbanisti del mondo intero la pentapoli rappresenta la sintesi culturale di questo popolo austero e puro, ogni elemento costruttivo è collegato alla quotidianità del vivere, ed è da questo che il grande Le Corbusier ha tratto l’ispirazione per realizzare alcune delle sue opere architettoniche in Francia. Città –fortezze, furono erette all’interno di grosse mura di cinta diventando dei villaggi grandi il giusto per poter ascoltare da qualsiasi punto, il richiamo del muezzin. Alla sommità si ergeva la moschea che, oltre ad essere centro religioso, servì come centro culturale, sociale e da ultimo, come fortezza e deposito di armi (tipo le nostre chiese medievali). Appena sotto, il quartiere dei "tolba", i maestri del corano e, scendendo, il quartiere dei commercianti e i contatti con il mondo esterno. Un tempo delle enormi catene sbarravano la strada agli estranei rendendo ancora più chiaro la voglia e forse anche il bisogno di isolarsi, di mantenersi  puri. Viste dal basso tutte le strade confluiscono verso la moschea, la cui vita intima e spirituale è nascosta agli sguardi indiscreti, solo gli scambi commerciali e la vita pubblica si svolgono al di fuori, sulla piazza del mercato. Ogni città ha una propria oasi, luogo di riposo, di ritiro e di svago per le famiglie mozabite durante la stagione calda. I vicoli e la folta vegetazione delle palme e degli alberi da frutta, proteggono con l’ombra i ricchi giardini. Le abitazioni tutte uguali (l’ostentazione e il lusso sono banditi dai mozabiti) sono chiuse, cieche ed impenetrabili, solo una fessura sopra la porta permette di vedere chi bussa.

Piazza a Beni Isguen

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Mercato di Ghardaia

Le strade strette conducono nel punto più alto della città dove svetta la moschea con il tipico minareto ibadita, da dove è possibile ammirare al di là del muro di cinta, la varietà dei colori delicatamente combinati alla luce del sole. Al mercato di Ghardaia, nella bella piazza contornata da portici ricchi di negozi e bancarelle, si respirano gli odori e i profumi di una terra dove le dimensioni dell’uomo, spirituale e carnale, restano chiuse come in uno scrigno. Questo è il posto ideale per procurarsi oltre ai prodotti artigianali del M’Zab, oggetti che provengono da un po’ tutto il Sahara; già in passato gli astuti mozabiti erano riusciti a deviare il traffico carovaniero verso la pentapoli. Oggi i potenti camion riforniscono le botteghe e il mercato.Beni Isguen, la città santa del M’Zab, ha conservato immutata la sua antica struttura con il quartiere dei "tolba" ai piedi della moschea. Il suo nome significa "i figli di coloro che detengono la fede". Un singolare cartello all’ingresso della città invita lo straniero ad astenersi di fumare, fotografare le persone e ad avere un abbigliamento che non offenda i puri mozabiti. A nessun arabo, e a maggior ragione neanche allo straniero, è permesso di penetrarvi dopo il tramonto, né di prendervi dimora e di circolare all’ora della preghiera. Ancora oggi è obbligatoria la guida, senza di essa non si può passeggiare all’interno. La città è circondata da uno spesso muro di cinta, alle cui estremità alte torri di avvistamento servivano e servono tutt’ora per lanciare l’allarme quando i razziatori o la piena del fiume minacciano la città santa. Pesanti porte giacciono ora ferme mentre non molto tempo fa venivano chiuse al calar della sera.