Il Ténéré, in lingua Tuaregh è ciò che non esiste....., e questo la dice lunga su quanto sia temuto, ma al tempo stesso esaltato questo magico deserto. E' l'ultima propaggine dell'immenso Sahara, più di 800 km di sabbia, ora piatto ora dunoso, spazi che sembrano non avere mai fine, dove inevitabilmente si perde la percezione dello spazio vitale. L'erosione del tempo ha creato sulla roccia delle forme bizzarre, giganteschi archi naturali sembrano emergere delle sabbie infuocate da un sole inesorabile, picchi, guglie e torrioni di arenaria sono i muti testimoni di un'evoluzione naturale che a queste latitudini si sta ancora compiendo. E pensare che milioni di anni fa, qui scorrevano fiumi impetuosi tra foreste lussureggianti ( il Tafassasset è oggi un fiume fossile che anticamente scorreva per centinaia di chilometri tra Algeria e Niger!!! ) e la fauna era numerosa e variegata. A memoria di quel tempo, diversi siti di arte rupestre possono dare solo un'idea di come le cose fossero diverse, e farci riflettere su quanto siano importanti  e condizionanti  i mutamenti geologici e climatici. Provate solo a pensare agli animali costretti a spostarsi o a modificarsi geneticamente ( l'evoluzione  della specie di C. Darwin insegna ), o gruppi etnici che per riuscire a sopravvivere e vincere l'avanzata del deserto, sono dovuti migrare per chilometri e chilometri ( i pastori Peul ne sono la prova emblematica,  originari dell'Alto Nilo sono emigrati progressivamente in vaste zone dell'Africa Occidentale ).
Il Ténéré è anche la linea di quel confine, non scritto sulle carte, fra il Sahara bianco e a prevalenza mussulmano e l'Africa nera, animista dei riti propiziatori e delle danze tribali, dove quasi tutto è ancora legato a ritmi e valenze ancestrali. Attorno all'anno mille i traffici carovanieri erano al loro apice, e tutto passava attraverso le piste del deserto, da nord a sud , da est ad ovest, il Sahara rappresentava il punto d'incontro e di passaggio di merci, culture, popoli e di religioni. I Tuaregh saggi e " navigatori " esperti, dicono che il deserto non lo si vive, ma lo si attraversa, loro con le carovane di dromedari le mitiche navi del deserto, in Mali è chiamata " Azalai " e in Niger " Tarlamt "; noi moderni viaggiatori ci appoggiamo ai potenti fuoristrada per affrontare una traversata che ancora oggi, ha il sapore delle grandi esplorazioni del passato. e di religioni

 Tramonto nel Ténéré           

Nomi magici come Arakao, in lingua Tuaregh " Tcin Taburak ", è la chela del granchio, un anfiteatro di sabbia che penetra in una vallata rocciosa avvolta come in uno stretto abbraccio ( la chela!! ) da grandi dune che sembrano toccare il cielo. L'Adrar Chiriet, le cui rocce nere sembrano fuoriuscire da un oceano di dune in tempesta..., le dune sono vive e le loro creste si spostano seguendo i capricci del vento; un campo sotto le stelle e attorno al fuoco è qualcosa di magico ed indimenticabile. Ma il Ténéré non è solo sabbia, nella falesia del Kaouar, all'estremità occidentale del deserto in direzione sud - nord, una serie di oasi dai verdi palmeti offrono riparo e conforto ai viaggiatori; chiunque essi siano, turisti o cammellieri godranno della frescura sotto le palme ombrose e del refrigerio dell'acqua che, come per magia, scorre abbondante nelle viscere della roccia.
Città fortificate come Djado e Djaba, offrivano riparo ai mercanti che dal mediterraneo transitavano per scambiare le merci. Numerosi siti di arte rupestre si trovano nei diversi angoli del Ténéré ( in Niger ci sono solo graffiti ) o nelle immediate vicinanze dell'Air, tra questi citiamo le splendide giraffe istoriate di Kori Dabous, sicuramente il più bel graffito di tutto il Sahara!!! Ma le sorprese non sono terminate, a chi pensa che il deserto non sia solo sabbia non si immaginerebbe mai di trovare delle ossa di dinosauro, sparse qua o là, affioranti tra le dune. Uno spettacolo unico che si può ammirare in due luoghi, Gadufaua, prima dell'Albero del Ténéré ( vedi Curiosità ) grazie ad una spedizione italiana che effettuò il ritrovamento, e nei pressi di Ingal, dove si sta allestendo un piccolo museo per alloggiare i reperti che ora sono sparsi in un locale angusto di proprietà di una società mineraria giapponese ( che lavora ad Arlit per l'estrazione dell'uranio ), che finanzia gli scavi.

 

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