A est di Mopti percorrendo la pista che conduce al villaggio di Bandiagara si arriva sull'orlo di un dirupo, qui la strada finisce e precipita per 300 metri nella piana sabbiosa di Gondo. E' questa la falesia di Bandiagara, il luogo dove vivono i Dogon, una piccola etnia con poco più di 250.000 anime. Per la sua importanza naturale e culturale la zona è stata designata dall'UNESCO "patrimonio dell'umanità". Originari del Mandé da cui fuggirono attorno al X secolo probabilmente per salvare la loro identità culturale e religiosa, si stabilirono in questa zona impervia ed inospitale dove, arroccati sui fianchi della falesia, sono stati edificati i villaggi tra blocchi di arenaria e cavità naturali. Al di sopra dei villaggi si trovano le abitazioni troglodite dei Tellem (un popolo di bassa statura che ha vissuto qui prima dei Dogon) che vengono usate oggi come grotte sepolcrali issando i morti con delle corde. La falesia nell'arco di svariati secoli è stata un'efficace fortezza naturale preservandoli dalle invasioni di popoli nemici e per ultima dall'armata francese nel 1893. Scoperti etnologicamente nel 1931 da Marcel Griaule durante la spedizione Dakar - Gibuti, i Dogon sono diventati loro malgrado famosi in tutto il mondo.
Affascinati dai racconti dell'etnologo francese nel libro "Dio d'acqua" i viaggiatori e semplici appassionati hanno conosciuto la loro architettura, l'organizzazione sociale e religiosa, ma soprattutto la complessa cosmogonia. Animisti convinti, i Dogon vedono il mondo come una cosa unica dove convivono in armonia il mondo delle cose, degli animali e degli uomini; dove l'uomo non è il padrone assoluto ma un elemento che come gli altri partecipa al mondo. Riassumendo a grandi linee possiamo dire che alla radice di tutto c'è Amma il Dio supremo che creò la terra, il cielo, l'acqua e le nuvole. Poi creò Nommo, la sua incarnazione sulla terra.
Poi vennero gli uomini e le donne che in un primo tempo avevano un'anima sia maschile che femminile. Per ovviare a questo Nommo decise di stabilire l'ordine perfetto con la circoncisione del prepuzio e del clitoride. 

Villaggio Dogon

Questa complessa cosmogonia si riflette su tutta la vita sociale dei Dogon.
Se si osserva dall'alto un villaggio si nota come esso sia orientato da nord a sud e come la sua pianta rappresenti simbolicamente il corpo umano. La testa è il togu-nà la casa della parola, dove si riuniscono gli anziani per le decisioni più importanti. Il torace è rappresentato dalle case costruite con argilla e fango e i granai con il tetto di paglia a forma di cono. Le mani sono le case delle donne mestruate e sono situate ai due estremi del villaggio. In basso c'è l'altare dalla caratteristica forma fallica.
Simboli e numeri sono tra loro strettamente legati influendo in modo determinante nella vita quotidiana.
I primi antenati scesi sulla terra erano otto, così come i solchi nei campi vengono tracciati a gruppi di otto; anche i pilastri del togu-nà sono otto e pieni di simboli apportatori di vita come la tartaruga, il coccodrillo e il seno perché "dopo Dio c'è il seno".
Nei cortili delle case e negli spazi comuni si svolge gran parte della vita famigliare. Tutti con compiti ben precisi. Le donne badano ai figli e alle incombenze della famiglia, pestano il miglio sgusciano le arachidi e vanno a prendere l'acqua, mentre gli uomini si occupano dei campi, del commercio e dell'artigianato. Quando c'è mercato (ogni cinque giorni) le donne vendono i prodotti della terra. Però non tutti sanno che i Dogon sono i principali produttori di cipolle del Mali!!
In quest'ambiente arido sono riusciti a creare delle vere e proprie oasi di verde con coltivazioni a terrazza e piccole dighe in pietra per la raccolta dell'acqua indispensabile per l'irrigazione. Le tradizioni secolari rivestono una certa sacralità legata al culto degli antenati.